domenica 19 agosto 2012

Flying Over the Earth at Night.

From the Iss - International Space Station

Video Credit: Nasa

lunedì 6 agosto 2012

Curiosity ce l'ha fatta. Il Rover della Nasa è su Marte.


Martedì 06 Agosto 2012

Curiosity ce l’ha fatta

Si è svolto secondo i piani l’atterraggio della nuova missione robotica sul pianeta rosso.
Alle 7 e 31 di oggi, ora italiana, il modulo di discesa ha calato sul suolo marziano il rover della NASA.
Il videoeditoriale di Giovanni Bignami.

La manovra dello "Sy Crane"
in una rappresentazione artistica
(NASA/JPL-Caltech )
È arrivato e sta bene. Uscito indenne da quei famosi “sette minuti di terrore” di cui aveva parlato la NASA, il rover Curiosity è regolarmente approdato su Marte alle 7 e 31 ora italiana, ed è ora pronto a iniziare la sua esplorazione.

Tutto si è svolto secondo i piani, con la separazione del rover dal vettore alle 7 e 15 circa, l’entrata nell’atmosfera dieci minuti dopo, e poi la rapida discesa verso il punto prescelto, rallentata e guidata da un paracadute; infine, a pochi metri dal suolo, l’accensione dei razzi che hanno guidato l’avvicinamento alla superficie. Negli ultimi secondi il rover è stato letteralmente depositato sul suolo marziano con un sistema mai utilizzato prima, lo Sky Crane, in cui il rover è stato calato dolcemente dal modulo di discesa grazie a cavi di nylon, tagliati appena avvenuto il contatto con il terreno.

L'opinione di Giovanni Bignami - Presidente Inaf e Cospar



Link articolo: Media Inaf

sabato 28 luglio 2012

Il fratello minore della Terra - UCF-1.01

Rappresentazione artistica
del pianeta 'fratello' della Terra
UCF-1.01
(fonte: NASA/JPL-Caltech)
 
 

Gli studiosi della University of Central Florida (UCF), coordinati dall'americano Kevin Stevenson, grazie al telescopio spaziale Spitzer della Nasa hanno scoperto il "fratello minore" della Terra, il piu' piccolo pianeta mai scoperto all'esterno del Sistema Solare.

Il "nuovo" pianeta, chiamato UCF-1.01, presenta temperature incandescenti, fino a 600 gradi, praticamente privo di atmosfera e ruota rapidamente attorno alla sua stella, una nana rossa denominata GJ 436, in appena 1,4 giorni terrestri. Il diametro è di 8.400 km, due terzi rispetto a quello della Terra e si trova a 33 anni luce da noi.

Secondo uno degli autori della ricerca, Joseph Harrington, la vicinanza cosi forte alla stella potrebbe aver sciolto la superficie del pianeta extrasolare e ''UCF-1.01 potrebbe anche essere coperto in magma''.

Lorenzo Canciani

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Kepler 30: scoperto un sistema solare simile al nostro.

Kepler 30
E' stato scoperto un "sosia" del Sistema Solare, i cui pianeti ruotano intorno alla loro stella con una configurazione simile ai pianeti del nostro sistema planetario. È la prima volta che viene scoperto un sistema planetario di questo tipo e il risultato può aiutare a far luce sulle condizioni che determinano l'architettura di un sistema planetario.

Gli espopianeti osservati dall’equipe di Roberto Sanchis-Ojeda del Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston sono tre, e girano attorno a una stella simile al Sole chiamata Kepler 30, in onore del telescopio con il quale è stata studiata, il Kepler della NASA. I pianeti sono stati chiamati Kepler-30b, Kepler-30c, Kepler-30d e sono tutti piu' grandi della Terra: hanno rispettivamente il raggio circa 4 volte, 13 volte e 10 volte il raggio del nostro pianeta.

Ma lo studio è innovativo soprattutto per quanto riguardo l’architettura dei sistemi solari: l’equatore del Sole e i piani orbitali dei pianeti sono quasi allineati e i ricercatori credono che probabilmente tutti i corpi si siano formati a partire da un unico disco di gas rotante.

In molti sistemi extrasolari, invece, i pianeti non hanno questa disposizione e presentano orbite più disordinate, non allineate con l'equatore stellare probabilmente a causa di caotiche interazioni dei pianeti durante la loro formazione o a causa di influenze dovute a stelle vicine.

Lorenzo Canciani.




lunedì 9 aprile 2012

Dna, onde e acqua. Di Luc Montagnier, premio Nobel per la medicina.

Luc Montagnier, medico e virologo francese di fama mondiale, premio Nobel per la medicina nel 2008, attribuito grazie alla scoperta del virus dell'Aids, ha pubblicato un articolo su una rivista scientifica intitolato "Dna, onde e acqua".

Introduzione di Roberto Giacobbo

"Una strabiliante idea si sta facendo largo nella Comunità Scientifica. Un'idea che sa di fantascienza ma che, invece, potrebbe portare dei grandi benefici nella vita di tutti i giorni e anche nella medicina.

Si tratta della possibilità di trasmettere il Dna.

Proprio come si può fare con la musica, attraverso le onde radio, ma c'è di più. Chi fosse in grado di ricevere questo Dna sarebbe anche nella condizione di poterlo duplicare. Insomma, qualcosa di realmente molto importante e di sorprendente. E pensate, l'elemento che potrebbe permetterci di fare tutto questo è, semplicemente, l'acqua."

Di seguito il video dell'indagine della trasmissione Voyager, condotta da Roberto Giacobbo, andata in onda lunedì 26 marzo 2012 su rai due.


Link video: www.youtube.com

Link correlato: Wikipedia - Luc Montagnier

domenica 1 aprile 2012

Alle superTerre piacciono le nane rosse.

Rappresentazione artistica di un
tramonto visto da Gliese 667 c
Uno studio su dati HARPS dell'ESO.

Questa classe di pianeti, poco più grandi della Terra, sembra essere comune intorno alle deboli stelle rosse. Inoltre, non raramente, nella cosiddetta fascia di abitabilità. L'ultimo scoperto, Gliese 667 C avrebbe le condizioni adatte per la presenza di acqua liquida sulla superficie.

Di Francesco Rea

La vita al di fuori del sistema solare? Probabilmente vicino ad una stella rossa. È quanto sembra venire fuori da uno studio condotto da un team internazionale di astronomi che ha usato i dati di sei anni di osservazioni compiute con lo spettrografo HARPS, il cacciatore di pianeti dell’ESO.

Secondo quanto riportato, infatti, il numero di super – Terre, pianeti che misurano da una a dieci volte le dimensioni della Terra, sarebbero comuni nelle fascie abitabili intorno a deboli stelle rosse. E considerato che le nane rosse rappresentano circa l’80% delle stelle della Via Lattea e alcune distano “appena” 30 anni luce dal nostro Sole, la caccia alla vita su questi pianeti diventa decisamente interessante.

“Le nostre nuove osservazioni con HARPS indicano che circa il 40% di tutte le nane rosse ha una super-Terra in orbita nella zona abitabile, dove l’acqua può esistere allo stato liquido sulla superficie del pianeta”, dice Xavier Bonfils (IPAG, Osservatorio di Scienza dell’Universo di Grenoble, Francia) che guida l’equipe. “Poiché le nane rosse sono così comuni – ce ne sono circa 160 milliardi solo nella Via Lattea – questo ci porta al sorprendente risultato che ci sono decine di miliardi di questi pianeti solo nella Via Lattea”.

L’equipe di HARPS ha analizzato un campione ben selezionato di 102 nane rosse nei cieli australi, osservate per un periodo di sei anni. Sono state identificate in totale nove super-Terre (pianeti con massa tra una e dieci volte quella della Terra) tra cui due nella zona abitabile, una in Gliese 581 e una in Gliese 667 C. Gli astronomi hanno potuto stimare la massa del pianeta e la dimensione dell’orbita, cioè quanto il pianeta sia lontano dalla stella.

“La zona abitabile, cioè la regione in cui la temperatura permette all’acqua di essere liquida sulla superficie del pianeta, è molto più vicina alla stella per una nana rossa che per il Sole.” spiega Stéphane Udry (Osservatorio di Ginevra e membro dell’equipe scientifica). “Ma le nane rosse sono soggette a eruzioni stellari e brillamenti che potrebbero inondare il pianeta di raggi X o ultravioletti e che renderebbero la presenza di vita molto meno probabile”.

Uno dei pianeti scoperti dalla survey HARPS di nane rosse è Gliese 667 Cc. Anche se questo è un pianeta pesante quattro volte la Terra, è il parente più prossimo al nostro pianeta finora trovato e quasi certamente, dicono dall’ESO, ha le condizioni adatte per l’esistenza di acqua allo stato liquido sulla superficie.

“Ora che sappiamo che ci sono molte super-Terre attorno a nane rosse vicine, dobbiamo identificarne sempre di più usando sia HARPS che futuri strumenti. Alcuni di questi pianeti dovrebbero passare di fronte alla loro stella madre durante l’orbita — questo apre l’entusiasmante possibilità di studiare l’atmosfera del pianeta e cercarvi segni di vita”, è la chiosa di Xavier Delfosse, altro membro dell’equipe.


Link correlati: Corriere della Sera

Link articolo: www.media.inaf.it

Pianeti con i capelli bianchi.

Rappresentazione artistica di
HIP 11952 e dei suoi due giganti gassosi.
Crediti: Timotheos Samartzidis
QUASI 26 MILIARDI DI ANNI IN DUE

Sono fra i più antichi conosciuti, e si trovano a 375 anni luce dalla Terra, in orbita attorno a HIP 11952: una stella antichissima, 12.8 miliardi di anni l’età stimata. Fra gli autori della scoperta, quattro astronomi italiani: tre sono donne, e tutti lavorano all’estero.

Di Marco Malaspina

Dopo il pianeta più piccolo, quello più caldo, quello più nero, quello più liquido, quello più veloce e quello più simile alla Terra, ecco arrivare il turno del pianeta più vecchio. Anzi, dei più vecchi, perché di mondi matusalemme ne sono stati scoperti ben due in un colpo solo. La Terra, con i suoi 4.5 miliardi di anni alle spalle, al confronto è una ragazzina. I due mondi orbitanti nel sistema planetario di HIP 11952, una stella nella costellazione della Balena, di anni ne hanno quasi il triplo: 12.8 miliardi a testa.

A individuarli, misurando lo stellar wobble – la variazione periodica della velocità radiale delle stelle dovuta a uno o più corpi che orbitano loro attorno – con lo spettrografo FEROS, un team di ricercatori guidato da Johny Setiawan, del Max-Planck-Institut für Astronomie. Del team fanno parte tre ricercatrici e un ricercatore italiani, tutti in attività all’estero: Veronica Roccatagliata (responsabile della survey, dello University Observatory di Monaco), Davide Fedele (della Johns Hopkins University, a Baltimore), Anna Pasquali ed Elisabetta Caffau (entrambe dell’università di Heidelberg, in Germania).

I due pianeti, che prendono il nome della stella madre con l’aggiunta delle lettere minuscole ‘b’ e ‘c’, sono entrambi giganti gassosi, con periodo orbitale di 290 giorni per uno e appena 7 giorni per l’altro. Nulla d’eccezionale, due mondi alieni come tanti. Se non fosse per la composizione stella che li ospita, talmente “light” da rendere la presenza di un sistema planetario attorno a essa un fatto del tutto inaspettato. «Il primo esempio di un sistema analogo, in orbita attorno a una stella poverissima di metalli, HIP 13044, l’avevamo individuato già nel 2010», ricorda Veronica Roccatagliata (vedi la news su Media INAF sul “Pianeta extrasolare extragalattico”). «All’epoca pensammo che si trattasse d’un caso più unico che raro. Ora, alla luce di questa nuova osservazione, pare invece che l’esistenza di pianeti attorno a stelle del genere sia più comune del previsto».

Quando dicono “a bassa metallicità”, gli astronomi intendono una stella fatta quasi interamente di idrogeno ed elio, i due elementi più “light” della tavola periodica. E un tipico indicatore di “leggerezza” è la bassa abbondanza di ferro: ebbene, HIP 11952 ha un’abbondanza di ferro pari ad appena l’uno per cento di quella del Sole. Ma c’è di più: oltre a essere straordinariamente povera di metalli, con la sua veneranda età è anche fra i sistemi planetari più antichi che si conoscano. «È come aver trovato un reperto archeologico nel giardino di casa», dice Johny Setiawan. «Questi pianeti, probabilmente, si sono formati quando la Via Lattea era ancora bambina».

L’individuazione di HIP 11952 b e di HIP 11952 c è avvenuta grazie a FEROS (Fibre-fed Extended Range Optical Spectrograph), uno spettrografo installato sul telescopio da 2.2 metri del Max Planck e dell’ESO che sorge all’osservatorio dello European Southern Observatory di La Silla, in Cile.

Per saperne di più:
Link articolo: www.media.inaf.it

domenica 25 marzo 2012

Anunnaki, il film troppo scomodo che non vedrete mai al cinema

Nel 2005 il regista Jon Gress ha iniziato a lavorare su una trilogia di film sugli antichi Anunnaki … ma dopo pochi mesi è successo qualcosa di strano. Il progetto è stato chiuso e il film non è mai uscito. Tutte le fotografie, i video e le informazioni sono stati banditi da Internet. L’account di posta elettronica di Jon Gress è stato anche chiuso. Quasi tutte le tracce della produzione del film sono già state rimosse dal web, compresa l’intervista con il regista del film, che è stato recentemente rimosso da Google. Il sito ufficiale del film è scomparso.

Ma perché? 

Il primo film digitale della trilogia “Anunnaki” ci stava per raccontare il tempo e il luogo dove l’umanità ha fatto il suo più grande salto antropologico, insomma un film sullo stile di AVATAR in 3D dove la storia diventa realtà.

Prima di sparire nel nulla il regista ha rilasciato questa intervista:
Questo è il primo lungometraggio in cui oggettivamente si può dimostrare come i Sumeri sono stati influenzati e diventarono improvvisamente civiltà più avanzata al mondo. Molte persone ancora non sanno che c’erano macchine volanti sulla Terra, molto prima che gli egiziani avevano raggiunto il loro boom tecnologico. La scrittura cuneiforme improvvisamente comparve in molte parti del mondo. La conoscenza avanzata delle stelle, l’agricoltura, il bestiame e anche la struttura sociale è stata introdotta al genere umano da civiltà avanzate extraterrestri. Questo film mostra come è stata scritta la storia e di come dovrebbe essere stato scritto tutto molto prima. La storia dietro la trilogia è vera, reale. L’evidenza è impressionante. Questo film indipendente è in procinto di cambiare il corso della storia del cinema … ”

Link articolo: www.meteoweb.eu

Pianeti Superman

Pianeta in fuga nello spazio interstellare.
Crediti: David A. Aguilar (CfA)
FIONDATI A VELOCITA' QUASI RELATIVISTICHE.

Li chiamano pianeti iperveloci, e vengono sparati da un buco nero a velocità superiori ai 10mila km al secondo. Per ora stanno solo in una simulazione, ma un team di astronomi del CfA sostiene che esistono davvero. E che saremmo pure in grado di vederli.

Di Marco Malaspina

Un autovelox galattico farebbe strage di punti. Poco meno di 50 milioni di chilometri all’ora: a tanto possono arrivare i pianeti iperveloci. Velocità che siamo soliti associare a infinitesimali particelle sparate lungo il tunnel d’un acceleratore. Qui, invece, altro che impalpabili neutrini: a sfrecciare sarebbero interi mondi, eventuali abitanti compresi. Mondi in fuga, scampati alle grinfie d’un buco nero e capaci di lasciarsi alle spalle persino la Via Lattea.

È la conclusione alla quale sono giunti Idan Ginsburg, Avi Loeb e Gary Wegner, astrofisici teorici del Dartmouth College e della Harvard University. Non solo: stando ai risultati delle loro simulazioni, già sottomessi per la pubblicazione a Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, con gli strumenti giusti e un pizzico di fortuna potremmo pure vederne qualcuno, di questi pianeti. Per rimanere gravitazionalmente appresso alla loro stella madre, infatti, devono girarle attorno in un’orbita strettissima. Aumentando così fino a una su due le probabilità di osservarne il transito.

«Che io sappia, a parte le particelle subatomiche, non c’è niente che riesca ad abbandonare la nostra galassia più in fretta di quanto facciano questi pianeti in fuga», dice il primo autore dello studio, Idan Ginsburg, del Dartmouth College. «Viverci sopra», aggiunge Avi Loeb dello Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, «è come farsi una cavalcata a briglie sciolte che parte dal centro della galassia per poi perdersi nell’universo».

Ma cos’è che li può scagliare attraverso il cosmo a velocità così pazzesche? Per capirlo, occorre fare un passo indietro, e tornare a circa sette anni fa, quando gli astronomi rimasero di stucco innanzi alla scoperta della prima stella iperveloce, in fuga dalla Via Lattea a quasi due milioni e mezzo di chilometri orari. Stelle del genere, si è poi compreso, sono le sopravvissute d’un sistema binario incappato in un buco nero. Se una delle due soltanto finisce risucchiata dal campo gravitazionale del mostro, l’altra, la più fortunata, strappata dall’abbraccio con la compagna, viene letteralmente fiondata via.

Ora, supponiamo che entrambe abbiano un pianeta o due che orbitavano loro attorno. Che fine farebbero? È esattamente questa la circostanza simulata dai tre astrofisici. Ciò che è emerso è che la stella sopravvissuta potrebbe riuscire a dare uno strappo anche ai suoi pianeti, portandoseli appresso nella sua fuga verso la salvezza. Ma anche il pianeta agganciato all’altra stella, quella condannata a finire nel buco nero, potrebbe riuscire a divincolarsi dall’abbraccio mortale. Se ciò accadesse, la velocità alla quale verrebbe sparato nel buio gelido dello spazio interstellare sarebbe semplicemente folle. Tipicamente, dai 10 ai 16 milioni di chilometri all’ora, dice la simulazione. E in condizioni particolarmente “favorevoli” anche a velocità superiori: fino, appunto, ai 50 milioni di chilometri all’ora che dicevamo. Roba che a stargli dietro verrebbe il fiatone pure all’Enterprise di Star Trek.

Per saperne di più:
Link articolo: www.media.inaf.it

martedì 20 marzo 2012

Terremoto a Guerrero, Mexico, a pochi km da Acapulco. Magnitudo 7.6.

www.emsc-csem.org
E' stata registrata un'ora fa, alle 19.02, a Guerrero, in Mexico, vicino ad Acapulco una forte scossa di terremoto.

Il sisma, di magnitudo 7.6, è stato localizzato alle seguenti coordinate 16.68°N - 98.24°W ad una profondità di 20 km.

La scossa, della durata di circa 5 minuti, è stata avvertita anche nella capitale, Citta del Messico, distante alcune centinaia di kilometri.

La telefonia mobile non funziona ed il servizio di corrente elettrica e’ stato interrotto.

Il terremoto, rileva la simologa Rita Di Giovambattista, è avvenuto a circa 17 chilometri di profondita’ sulla terraferma, non lontano dalla costa. E’ stato quindi poco profondo ed e’ percio’ probabile che sia stato avvertito in un’area molto estesa. Non c’e’ al momento un allarme tsunami, ma la rete di segnalazione indica che potrebbero esserci soltanto effetti a livello locale”.

Link evento: www.emsc-csem.org
                   Usgs-Neic Denver Usa

lunedì 19 marzo 2012

Quel lago sotto i ghiacci di Europa.


IMMAGINI DAL SISTEMA SOLARE
 
Ecco come le immagini della sonda Galileo dimostrerebbero l'esistenza di laghi sotterranei su Europa. Uno studio pubblicato su Nature che sembra preannunciare JUICE, proposta di missione che concorre al programma Cosmic Vision dell'ESA.
 
Di Livia Giacomini
 
Un montaggio delle immagini di Europa della sonda Galileo (credit dell'immagine nel riquadro: Paul Schenk/NASA)
 
Che Europa, la Luna di Giove, abbia una superficie ghiacciata è ormai fatto ben noto. La sfida che i ricercatori affrontano oggi (e affronteranno in un prossimo futuro), consiste nel capire (e dimostrare) cosa ci sia, sotto quei ghiacci. Sono state recentemente pubblicate prove a favore dell’ipotesi che, a una profondità relativamente superficiale (3 Km), si trovino delle sacche di acqua allo stato liquido, dei veri e propri laghi intrappolati nel ghiaccio. Ipotesi che va a completare il modello dell’interno di Europa, secondo il quale esiste sotto la superficie, sotto una crosta ghiacciata di spessore ipotizzato tra i 10 e i 30 Km, un enorme oceano di acqua liquida i cui movimenti rimodellano costantemente la liscia superficie di ghiaccio della Luna.

L’ultima prova dell’esistenza di questi laghi sotterranei è ben rappresentata dall’immagine di oggi, che utilizza i dati pubblicati a novembre 2011 su Nature, in un articolo a prima firma di Britney Schmidt dell’Università del Texas.

L’immagine è stata ricavata dai dati di Galileo, la sonda NASA lanciata nel 1989, che ha studiato Giove e le sue lune dal 1995 al 2003. È ottenuta combinando immagini nel visibile e una mappa di elevazione del suolo prodotta dalle riprese stereo della sonda. Rosso e viola rappresentano le zone più elevate, il verde rappresenta le depressioni del terreno.

Dall’immagine emerge l’esistenza di una zona di forma circolare, chiamata Macula Thera, di dimensione pari ai grandi laghi del nord America, circa 400/600 metri più depressa del terreno circostante. Una zona che presenta una superficie irregolare, per questo chiamata “cahotic terrain”, terreno caotico, molto diversa dal tipico aspetto della superficie ghiacciata del satellite, liscia e percorsa da crepe.

Le caratteristiche della Macula Thera ben supportano l’esistenza di un lago sotterraneo, che avrebbe fatto sprofondare la crosta sovrastante, oggi formata da uno strato sottile di ghiaccio. Per questo motivo, la superficie di questa zona assumerebbe l’aspetto caratteristico del terreno caotico, composto da blocchi di ghiaccio che, come dei veri iceberg,  galleggiando e muovendosi, formano una superficie frastagliata e irregolare. Conseguenza non secondaria è il fatto che il movimento di questi blocchi sarebbe un meccanismo in grado di trasferire energia e nutrienti tra la superficie e l’oceano sottostante. E ciò permetterebbe di rendere Europa e il suo immenso oceano sotteraneo un luogo “abitabile” (termine da intendersi come “in grado di ospitare forme di vita”).

La scommessa non è da poco, ed è comprensibile che i ricercatori vogliano avere prove dirette dell’esistenza di acqua allo stato liquido nelle profondità di Europa. Prove dirette che potranno essere fornite solo da missioni studiate e disegnate in modo specifico per fornire queste risposte. Tra le varie missioni proposte c’è JUICE (JUpiter ICy moons Explorer), una delle concorrenti del programma ESA Cosmic Vision (se n’è parlato pochi giorni fa anche all’INAF). Se approvata, JUICE osserverà in un prossimo futuro (2030) il sottosuolo di Europa grazie all’uso di strumenti dedicati. In particolare è stato proposto l’uso di un radar, strumento già utilizzato per identificare acqua nel sottosuolo di Marte. Oppure (per rimanere molto, molto più vicino) per individuare sulla Terra il lago sotteraneo Vostok, scoperto grazie a indagini analoghe.

Link articolo: www.media.inaf.it

 

domenica 18 marzo 2012

Scossa di terremoto vicino Rovereto (Tn).

www.ingv.it
E' stata registrata alle ore 17.00 una scossa sismica nel sud del Trentino Alto Adige, non lontano dal confine col Veneto. L'epicentro è stato localizzato tra Mori e Bretonico lungo la A22 nei pressi di Rovereto.

L'evento è stato rilevato dalla Rete Sismica Nazionale dell'Ingv nel distretto sismico della Zona Lago di Garda ed è stato avvertito anche a Trento e Verona.

Il sisma, di magnitudo 3.1, è stato localizzato alle seguenti coordinate 45.77°N - 10.98°E, ad una profondità di 10.9 km.

Link evento: www.ingv.it 

Link correlato: Scossa di terremoto vicino Cassino nel Lazio - ore 05.47 del 18/03/2011

Nasa: storia dell'evoluzione geologica della Luna.

Credit: Nasa
Il team del Lunar Reconnaissance Orbiter della Goddard Space Flight Center di Greenbelt della NASA nel Maryland ha realizzato due video sull'evoluzione geologica della Luna.

Nel primo si vede una ricostruzione della possibile evoluzione del nostro Satellite. Nel secondo, invece, un tour virtuale dello stesso, reso possibile grazie alle foto scattate dalla sonda LRO.

Di seguito il video della rubrica Pulsar Magazine dell'Asi-Tv (Agenzia Spaziale Italiana).





Una scintillante distesa di stelle. Messier 9.

L'ammasso globulare M9 ripreso
in tutto il suo splendore dal
telescopio spaziale Hubble.
Crediti: NASA&ESA
L'AMMASSO M9 RIPRESO DA HUBBLE.

250.000 stelle nella più dettagliata immagine mai presa dell'ammasso globulare Messier 9. Una vista mozzafiato ottenuta dalla Advanced Camera for Surveys del telescopio spaziale Hubble.

Di Marco Galliani

Nebulosa priva di stelle nella gamba destra di Ofiuco. Tonda e debole.” Così Charles Messier descrive il nono oggetto del suo celeberrimo catalogo, da lui osservato per la prima volta durante la notte del 28 maggio 1764. In realtà quella macchiolina indefinita era un ammasso di stelle, che William Herschel riuscì a risolvere per la prima volta nel 1784. Da allora la strumentazione astronomica e le tecniche di ripresa hanno fatto passi da gigante, regalandoci viste sempre più dettagliate degli oggetti celesti. E proprio l’immagine di M9, ottenuta dal telescopio spaziale Hubble appena pubblicata ne è la migliore, spettacolare conferma.

Ben 250.000 stelle sono visibili nella ripresa più dettagliata mai ottenuta dell’ammasso globulare, che si trova a circa 25000 anni luce da noi, in direzione del centro della nostra Galassia. Messier 9, così come gli altri ammassi globulari, ospita alcune delle stelle più antiche che popolano la Via Lattea, formatesi quando l’universo aveva solo una piccola frazione della sua età attuale. Oltre ad essere molto più antiche del Sole -- circa il doppio della sua età -- le stelle di Messier 9 possiedono anche una differente composizione chimica, in cui l’abbondanza di elementi pesanti è molto inferiore rispetto a quella riscontrata nella nostra stella. Nella splendida immagine, oltre al nugolo di astri, si percepiscono chiaramente i loro differenti colori. Un caleidoscopio di sfumature, che vanno dal rosso, indice di temperature superficiali relativamente basse, al blu, associato alle stelle più calde.

 Gli spledenti gioielli di Messier 9 - di Stefano Parisini (Inaf-Tv)



Link articolo: www.media.inaf.it

Il pianeta più prezioso dell’Universo: è completamente ricoperto di diamanti.

www.meteoweb.eu
Un pianeta prezioso difficile anche da immaginare. E’ la scoperta di qualche mese fa da parte degli astronomi che hanno sognato al momento della scoperta. Ma andiamo con ordine e vediamo come mai l’universo ne è colmo. Utilizzando varie simulazioni al computer, i ricercatori hanno sviluppato un paio di anni fa una strategia per la ricerca di diamanti nello spazio, grandi solo un nanometro (un miliardesimo di metro).

 Queste gemme sono circa 25.000 volte più piccole di un granello di sabbia, troppo piccole per poter essere utilizzate su un anello di fidanzamento. Ma gli astronomi ritengono che queste minuscole particelle siano in grado di fornire preziose informazioni sul modo in cui le molecole ricche di carbonio, la base della vita sulla Terra, si sviluppino nel cosmo. Gli scienziati hanno cominciato a riflettere seriamente sulla presenza di diamanti nello spazio negli anni ‘80, quando studi su meteoriti schiantati sulla Terra hanno rivelato molti frammenti di queste pietre preziose. Gli astronomi hanno determinato che il 3 per cento di tutto il carbonio trovato nei meteoriti è venuto sotto forma di nanodiamanti. I calcoli mostrano che solo un grammo di polvere e gas in una nube cosmica, potrebbe contenere fino a 10.000 miliardi di nanodiamanti.

La domanda a cui gli scienziati cercano di dare una risposta, è il motivo per il quale siano stati visti soltanto due volte, nonostante l’idea sia appunto di una distribuzione abbondante. La risposta la fornisce Charles Bauschlicher dell’Ames Research Center, che afferma che “non si conoscono a sufficienza le proprietà elttroniche affinchè si possano rilevare le impronte digitali”. Per risolvere questo dilemma, Bauschlicher e il suo team di ricerca, hanno utilizzato un software al fine di simulare le condizioni del mezzo interstellare (lo spazio tra le stelle), teoricamente ricco di nanodiamanti. Essi hanno scoperto che questi diamanti spaziali brillano di luce infrarossa, dove il telescopio spaziale Spitzer è particolarmente sensibile. I membri del team sospettano che i diamanti non siano facili da osservare non perché siano stati utilizzati gli strumenti sbagliati nei luoghi sbagliati, ma semplicemente perché necessitano di alta energia.

www.meteoweb.eu
Per questo motivo gli astronomi credono che il posto migliore per osservarli sia proprio accanto ad una stella calda. Una volta capito dove cercare, resta l’enigma della loro formazione nello spazio interstellare. “I diamanti dello spazio si formano in condizioni molto diverse dai diamanti che si formano sulla Terra“, dice Louis Allamandola, anch’esso dell’Ames. I diamanti terrestri hanno origine nel mantello, e solo in seguito portati in superficie da condotti vulcanici mediante le eruzioni. Infine, mediante erosione, la kimberlite viene sgretolata liberando i diamanti nella zona circostante in depositi secondari. I diamanti celesti invece hanno origine in aree freddissime nelle nubi molecolari, dove la pressione è miliardi di volte più bassa e la temperatura raggiunge i -240°C. Il risultato di questa ricerca è stato pubblicato sull’Astrophysical Journal.

UN DIAMANTE GRANDE 5 VOLTE LA TERRA. Non tutti sanno che recentemente attorno alla pulsar PSR J1719-1438, è stato scoperto un pianeta composto interamente di diamante dalle dimensioni gigantesche, grazie ai radiotelescopi di Parkes in Australia, al Lovell in Inghilterra ed al radiotelescopio Keck alle Hawaii. O forse si potrebbe dire che si tratta di un diamante delle dimensioni di un pianeta. Le sue dimensioni, con una massa di poco superiore a quella di Giove, ma un raggio inferiore alla metà, ne fanno il diamante più grande mai osservato nell’universo. E se qualcuno già sta sognando di andarlo a recuperare rimarrà deluso nel sapere che la sua distanza dalla Terra è di circa 4000 anni luce. Cosa vuol dire? Che viaggiando ipoteticamente alla velocità della luce impiegheremmo 4000 anni per giungere sino ad esso, e altrettanti per tornarci. Ma se preferite la distanza espressa in chilometri, sappiate che un solo anno luce equivale a circa 10.000 miliardi di chilometri. Per cui, moltiplicando per 4000, saprete quanta strada bisogna percorrere per mettere le mani su questo immenso gioiello cosmico.

Di Renato Sansone

Link articolo: www.meteoweb.eu

Scossa di terremoto vicino a Cassino. Lazio. Magnitudo 2.6

www.ingv.it
E' stata registrata qualche ora fa, alle ore 05.47, una scossa sismica vicino a Cassino, in provincia di Frosinone, nel Lazio.

L'evento è stato rilevato dalla Rete Sismica Nazionale dell'Ingv nel distretto sismico della Zona Cassino.

Il sisma, di magnitudo 2.6, è stato localizzato alle seguenti coordinate 41.51°N - 13.84°E, ad una profondità di 9 km.

Link evento: www.ingv.it 

Link correlato: Scossa di terremoto a Urbino, Marche.

Scossa di terremoto nella notte, vicino a Urbino (Marche). Magnitudo 2.1.

www.ingv.it
E' stata registrata questa notte, alle ore 02.28, una scossa sismica vicino a Urbino nelle Marche.

L'evento è stato rilevato dalla Rete Sismica Nazionale dell'Ingv nel distretto sismico del Metauro.

Il sisma, di magnitudo 2.1, è stato localizzato alle seguenti coordinate 43.59°N - 12.69°E, ad una profondità di 56 km.

Link evento: www.ingv.it 

Link correlato: Scossa di terremoto a Cassino, Frosinone.

Marte: scoperti centinaia di vulcani di fango.

Il Pianeta Rosso
L'acqua è sparita dalla superficie, ma è rimasta molto più a lungo nel sottosuolo.

Centinaia di vulcani di fango su Marte raccontano la storia di un pianeta che non finisce mai di sorprendere e che, anche quando l’acqua liquida era sparita dalla superficie, potrebbe avere continuato ad avere fiumi sotterranei.

L’ipotesi arriva dalla ricerca italiana pubblicata sulla rivista Earth and Planetary Science Letters. A permettere di ricostruire la natura dei vulcani sono stati i dati dei tanti satelliti in orbita attorno a Marte e soprattutto quelli dello strumento Hirise a bordo dell’americano Mars Reconnaissance Orbiter (Mro), analizzati dai ricercatori della Scuola Internazionale per la ricerca nelle scienza planetarie (Irsps) dell’universita’ ’’Gabriele D’Annunzio’’ di Pescara, diretta da Gian Gabriele Ori. I vulcani hanno una forma conica, con una base che ha diametro compreso fra 100 e 500 metri, e sono alti qualche decina di metri.

Alla sommita’ hanno una sorta di depressione, simile a un cratere. ’’Sono troppo piccoli per essere veri vulcani e non sono nemmeno coni di cenere’’, spiega la coordinatrice della ricerca, Monica Pondrelli. Considerando la loro composizione, l’ipotesi piu’ verosimile e’ che siano ’’vulcani di fango, formati da fluidi, gas e fango risaliti in superficie’’. I vulcani finora studiati si trovano nel grande cratere Firsoff, in prossimita’ dell’equatore marziano. ’’Adesso andremo a cercare strutture simili in altre zone di Marte’’, prosegue Pondrelli. 

Di sicuro, aggiunge, ’’Marte ha una vita sotterranea sorprendente: a partire da un certo punto della sua storia geologica, sulla superficie e’ scomparsa ogni traccia di acqua liquida, ma questo non significa che non ci sia stata acqua in profondita’’’. Perche’ il fango possa formarsi, infatti, e’ necessaria la presenza di acqua allo stato liquido. Si fanno strada anche delle ipotesi (ma per il momento sono soltanto tali) sulla possibile comparsa di forme di vita nel sottosuolo di Marte. Potrebbe avere avuto origine da qui ed essere stato portato in superficie dai vulcani di fango, l’abbondante metano osservato in passato da alcuni satelliti in orbita intorno al pianeta rosso.

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martedì 13 marzo 2012

La NOAA stima un 60% di probabilità di essere investiti da una nuova tempesta solare

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E’ pari al 60% la probabilità che nelle prossime 48 ore la Terra venga investita da una tempesta geomagnetica provocata dalle intense eruzioni solari dei giorni scorsi. La stima è dell’Agenzia statunitense per l’atmosfera e gli oceani, NOAA

Lo sciame di particelle prodotto dall’ultima grande esplosione solare è ora in rotta verso la Terra, riferiscono gli esperti dello Space Weather Prediction Center del NOAA, ma al momento è impossibile prevederne l’intensità. Di sicuro alle alte latitudini sarà possibile avvistare aurore spettacolari. L’espulsione di massa coronale che si è verificata attorno alle 5 del mattino del 9 marzo, avrebbe dovuto provocare forti tempeste geomagnetiche a partire da ieri mattina, mentre ieri è stata registrata soltanto una debole perturbazione nelle prime ore del pomeriggio.

L’esplosione solare, infatti, non ha coinvolto direttamente la Terra e i deboli disturbi osservati potrebbero essere stati causati proprio da questo vicino passaggio della tempesta. La violenta esplosione avvenuta nel tardo pomeriggio del 10 marzo dovrebbe invece coinvolgere la Terra la prossima notte, tra il 12 ed il 13 marzo, con eventi anche di forte entità. Nel frattempo il Sole si sta tranquillizzando e attualmente si registrano livelli di attività minima. In alcune regioni solari la situazione resta complessa, rilevano ancora gli esperti del NOAA, ma con chiari segni di indebolimento. In foto è possibile osservare gli effetti della recente tempesta solare.

Di Renato Sansone

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lunedì 12 marzo 2012

L’effervescente Via Lattea

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BOLLE GALATTICHE

Un corpo di volontari di oltre 35mila astronomi, alla caccia, su dati del telescopio spaziale Spitzer, delle bolle della Via Lattea, scoprendone oltre 5000

Di Francesco Rea

5000 bolle nella nostra galassia. A gonfiarle sono le nuove calde giovani stelle che fanno della Via Lattea una galassia ancora “effervescente”, come le bollicine fanno dello champagne.

A scoprirle un cospicuo numero di volontari, oltre 35mila, che hanno utilizzato i dati del telescopio Spitzer scoprendo più di 5.000 “bolle” nel disco della nostra galassia Via Lattea. Giovani, stelle calde che soffiano queste bolle, con le polevri e il gas circostante, indicando così le aree di formazione stellare più recenti.

“Questi risultati ci fanno sospettare che la Via Lattea sia molto più attiva di formazione stellare di quanto si pensasse”, dice Bressert Eli, che sta svolgendon un dottorato di astrofisica presso l‘European Southern Observatory e studente dell’Università di Exeter, in Inghilterra, co-autore di un documento presentato alle Monthly Notices della Royal Astronomical Society.

E se i programmi realizzati per il computer fanno fatica ad individuare le bolle cosmiche, gli occhi e delle menti umane fanno un ottimo lavoro nell’individuare i segni distintivi delle bolle. Il progetto “la Via Lattea attinge alla saggezza delle folle”, richiede che siano almeno in cinque i ricercatori a contrassegnare una potenziale bolla prima della sua inclusione nel nuovo catalogo.

Le bolle contrassegnati dai volontari variano in dimensione e forma sia a causa della distanza che a causa delle variazioni della nube di gas.

“Il progetto (Project Milky Way) ha evidenziato che quasi un terzo delle bolle rispondono a ‘gerarchie’, bolle più piccole si trovano intorno al cerchio di bolle più grandi”, ha detto Matthew Povich, Postdoctoral Fellow National Science Foundation Astronomy and Astrophysics presso Penn State, University Park, e co-autore della carta. “Questo suggerisce che nuove generazioni di formazione stellare vengono generate dalle bolle in espansione”.

Ma forse la sorpresa più grande di questo lavoro è che queste bolle siano più numerose su entrambi i lati del centro galattico. “Ci si aspetterebbe di avre un picco di formazione stellare nel centro galattico, perché è lì che la maggior parte del gas è denso”, ha detto Bressert. “Alla fine questo progetto ci sta portando più domande che risposte”.

Inoltre, gli utenti di Project Milky Way hanno individuato molti altri fenomeni, quali ammassi stellari e nebulose oscure, così come gassosi “nodi verdi” e “oggetti sfocati rossi”. Nel frattempo, il lavoro con le bolle continua.

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Nasce a Trieste il Museo della Bora: sarà una miniera di cimeli, curiosità, scienza e didattica meteo

Dalle vecchie corde per legarsi in strada alla macchina sparavento, ospita cimeli di ogni genere il Museo della Bora di Trieste. A metterlo su un gruppo di amici volonterosi, che ha creato nel 1999 una Associazione con l’obiettivo di trasformare quello che ad oggi e’ ancora un museo in fieri, confinato in un magazzino di 60 metri quadrati per ora visitabile solo su appuntamento, in un vero e proprio museo Museo della Bora e del Vento, che molto sarebbe piaciuto a poeti e letterati. Lo racconta oggi l’Adnkronos. In tanti, infatti, hanno scritto della bora nei loro versi e nei loro libri: tra questi, Stendhal, Peter Handke e Giani Stuparich.

…Bisogna vederla nascere. Qualche anno fa, di febbraio, ebbi l’occasione d’assistere alla sua venuta. L’aria era annebbiata e sonnolenta…“, cosi’ descriveva la bora Stuparich, “…ma poi quando vidi la nebbia sopra la citta’ addensarsi, rotolare e sparire, quando vidi il mare pulirsi – proseguiva la descrizione nel suo ultimo libro, ‘Il ritorno del padre’ – e sentii fremere intorno a me l’aria, giungendomi alla pelle un piacevole frizzio e alle nari un fresco e leggero odore di sassi e di pini, allora capii che cos’era. Nasceva la bora. Si profilava sul ciglio dei colli e poi d’un balzo era giu’, sulla citta’ e sul mare. Le case acquistavano corpo, si tergevano, s’avvicinavano; i moli liberavano le loro sagome forti e squadrate dal velo tenero della nebbia; nei bacini l’acqua del mare prendeva colore e moto. Una freschezza, un ringiovanimento da per tutto…” A capitanare l’impresa del Museo, il presidente dell’associazione Rino Lombardo, una vera fucina di idee su quello che dovrebbe diventare la struttura oggi ospitata in via Belpoggio n. 9, dietro le Rive, vicino all’Universita’ ”vecchia”. L’ambizione e’ innanzitutto quella di allargarsi e di riuscire ad aprire i battenti non solo per appuntamento, come accade ora, telefonando allo 040.307478 o inviando una mail all’indirizzo museobora@iol.it.

D’altra parte, la bora a Trieste fa sempre notizia, e allora perche’, si sono chiesti Lombardo e i suoi amici, non farne anche una attrazione turistica? Gia’ Trieste e’ di per se stessa un museo della bora, con le sue strade bordate di pali e catene a cui afferrarsi nei momenti in cui il vento ti aggancia e tenta di gettarti a terra. Anche due strade della citta’, via Molino a Vento e via del Vento, evocano quel che accade quando da Est Nord Est arrivano i refoli virulenti. Quando il vento e’ forte, dall’alto cade di tutto, nelle strade si rincorrono carte, foglie e quanto altro, il mare e il cielo assumono un colore particolare e le persone che camminano contro vento vengono spinte indietro sui loro passi, mentre se procedono nella direzione del vento vanno quasi di corsa. L’idea di Lombardo e soci parte da un presupposto evidente: il vento non si vede, quello che invece si vede sono appunto i suoi effetti. Il Magazzino vuole suggerire con mezzi limitati ma non per questo inefficaci cosa si potra’ vedere nel futuro Museo. Nello spazio, inaugurato il 31 gennaio 2004, e’ accatastato di tutto. La visita e’ organizzata cosi’ in 20 tappe, durante le quali si fa conoscenza con la bora anche attraverso quello che Lombardo definisce ”archivio multimediale eolico”. Si parte del Barattolo della bora, nato come souvenir che sta riscuotendo molto successo, e si prosegue attraverso cartoline, libri, fotografie, filmati, dvd, dischi, collezioni di venti di tutto il mondo in scatola.

 Non mancano le vecchie corde a cui aggrapparsi, che erano collocate lungo le strade piu’ battute dal vento, e la macchina sparavento, un oggetto di plastica che spara l’aria per vedere l’effetto che fa. Ma ecco un filmato di Gianni Alberto Vitrotti, che fu premiato nella sezione documentari alla Biennale di Venezia del 1953. E poi lo spazio in cui si puo’ scoprire come si misura la velocita’ del vento, quali sono i venti del Mediterraneo e naturalmente da dove arriva e cosa combina la bora, svelandone caratteristiche e curiosita’. Una attenzione particolare e’ dedicata a come si possa giocare con il vento durante laboratori dedicati ai bambini e non solo. I piccoli possono realizzare girandole e altro, per preparare al meglio ‘Girandolart’, la festa del vento e della fantasia lanciata anni fa dall’associazione. Accadde la prima volta nel settembre del 2000, quando l’Associazione Museo della Bora e del Vento insieme all’Assessorato alla cultura del Comune di Trieste organizzo’ la grande festa delle girandole, creando un incontro tra l’Associazione, il vento e la citta’ Ma ecco come scriveva della bora un esperto studioso ormai scomparso, Silvio Polli. ”La bora di Trieste e’ un vento continentale secco e freddo che scende, con violenza, dall’Altopiano carsico al mare soprattutto nella stagione invernale. Essa e’ dovuta essenzialmente alla configurazione geografica molto particolare della citta’. Trieste e’ infatti situata fra l’estremita’ di un mare relativamente caldo, che si inoltra nel continente, e un elevato e freddo retroterra con un valico aperto sul golfo della citta‘”.

Se la differenza di pressione – proseguiva l”esperto’ – viene esaltata dal transito di una depressione (ciclone) sulI’Adriatico, o dalla formazione di una zona di alta pressione (anticiclone) sull’Europa centro-orientale, oppure dalla contemporanea presenza di una depressione sul mare e di un’alta pressione sul continente, allora il flusso d’aria discendente assume velocita’ elevate e caratteri di impetuosita‘”. I forestieri, rimangono sempre incuriositi dalla distinzione tra bora scura e bora chiara. Ecco come la spiega Polli: “La bora, quale flusso di aria fredda, ha uno spessore di poche centinaia di metri, da 400 a 800 m. Sopra di essa il cielo puo’ essere sereno e allora si ha la bora chiara, se invece e’ sovrastata da formazioni nuvolose sciroccali si ha la bora con cielo coperto, cioe’ bora scura“. La bora e’ un vento catabatico, che significa che scende dall’alto verso il basso. Il deflusso, cosi’ Polli ricostruisce il tragitto della bora, avviene dalla Vallata della Sava di Lubiana e di Zagabria attraverso i valichi situati fra le Alpi Giulie Orientali e i monti Kapela e Velebit della Croazia.

 La corrente aerea, nella sua discesa verso il mare, viene divisa, dal gruppo del Monte Nevoso, in due flussi, e quello che scorre tra la Selva di Tarnova e il Monte Nevoso attraverso il valico di Postumia, dilaga sull’altopiano carsico e precipita sul golfo di Trieste con una velocita’ che va rapidamente aumentando nella discesa. Tutta la citta’ e’ un palcoscenico per lo spettacolo della bora, eppure vi sono dei punti in cui, da prima attrice, vuole strafare. E questi punti sono ben documentati nel Magazzino. Il futuro Museo ha ambizioni di diventare uno spazio interdisciplinare, tra scienza, arte, cultura e societa’. La bora dovrebbe favorire la circolazione e lo scambio delle idee, dando per prima un ottimo esempio di come si possono superare i confini. Scopo del Museo, proporre iniziative artistiche e culturali ispirate direttamente o indirettamente alla bora e/o al vento. Organizzare (anche in collaborazione con altri enti o associazioni) eventi, quali tavole rotonde, mostre scientifiche, inchieste, viaggi ed escursioni, etc.

Di Peppe Caridi

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domenica 11 marzo 2012

Astronomia: una gemella della nebulosa Trifida.

Credit: Adam Block,
Mt. Lemmon SkyCenter,
University of Arizona
Qualche osservatore occasionale del cielo potrebbe pensare di conoscere questa nebulosa associandola alla nebulosa Trifida. Situata a 2100 anni luce dalla Terra e vasta circa 3 anni luce, in realtà NGC 1579 è una nebulosa famosa soltanto per la sua notevole somiglianza alla nebulosa Trifida del Sagittario, che è in realtà un oggetto soltanto simile ma ben distinto e separato. 

Questo oggetto si trova invece nella costellazione del Perseo, in una posizione molto più a nord della gemella. Il contrasto di colori tra il blù ed il rosso la rende un magnifico oggetto, mentre le corsie scure sulla sua superficie rappresentano delle strisce di polvere nelle regioni centrali della nebulosa. L’oggetto è di tipo a riflessione, ossia splende grazie alla luce riflessa delle sue stelle. 

Ma a differenza della Trifida, in NGC 1579 il bagliore rossastro non è l’emissione di nubi e gas incandescenti di idrogeno eccitato dalla luce ultravioletta proveniente da una stella calda limitrofa. La polvere invece diminuisce drasticamente, si arrossa e diffonde la luce proveniente da una stella giovane di grande massa, essa stessa forte emettitrice di luce del caratteristico colore rosso dell’H-alfa.

Di Renato Sansone

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Magnetismo lunare dai meteoriti

I maggiori gruppi di anomalie magnetiche
(sulla sinistra nell'immagine) sulla Luna
sono concentrati sul bordo settentrionale
del bacino Aitken, che si trova
nella faccia nascosta del nostro satellite.
Crediti: Science/AAAS

LO STUDIO SULLA RIVISTA SCIENCE
 
Le anomalie nel campo magnetico lunare che sono state registrate dalle missioni Apollo sulla superficie del nostro satellite potrebbero essere dovute all'impatto dei meteoriti. Sono queste le conclusioni del lavoro di un team di scienziati guidato da un ricercatore dell'Università Paris Diderot.
 
Di  Marco Galliani

Quando nel luglio del 1969 Neil Armstrong posò il suo piede sulla polverosa superficie della Luna, di fatto aprì una nuova era nello studio del sistema solare. Le missioni Apollo, dalla 11 alla 17 esclusa la sfortunata numero 13, permisero per la prima volta di studiare in situ un corpo celeste. Sulla Luna vennero infatti installati sismografi, riflettori laser, fatti esperimenti e carotaggi, riportando sulla Terra quasi 400 kg di rocce. Una delle sorprese scientifiche che sono scaturite da queste missioni è stata la scoperta di intensi campi magnetici concentrati in alcuni punti della crosta lunare. Scoperta sorprendente per il fatto che le rocce lunari risultano povere di ferro metallico, caratteristica che le rende intrinsecamente poco magnetiche.

Ma allora, come fa la Luna a possedere qua e là queste intense tracce di campo magnetico? Prova a darne una spiegazione il lavoro pubblicato nell’ultimo numero della rivista Science guidato da Mark Wieczorek, dell’Institut de Physique du Globe dell’Università Paris Diderot di Parigi,  secondo cui la maggior parte delle anomalie magnetiche della Luna provengono dai resti altamente magnetizzati di un asteroide di grandi dimensioni che si è schiantato nelle prime fasi di formazione della Luna. Questi detriti avrebbero poi ‘registrato’ i campi magnetici che possedeva anticamente la Luna, conservandone traccia fino ai giorni nostri.

Le ipotesi avanzate dal team di ricerca partono dal fatto che per avere anomalie magnetiche c’è bisogno di due condizioni: la prima, ovvia, è quella dell’esistenza di un campo magnetico. La seconda, della presenza di minerali in grado di registrarlo. Sulla Terra questi minerali sono presenti sotto forma di ossidi di ferro e di solfuri. Sulla Luna invece i principali ‘messaggeri’ di fenomeni di magnetizzazione sono le leghe metalliche di ferro e nickel. Materiali che però sono estremamente rari nella composizione della crosta e del mantello superiore del nostro satellite, e dunque non possono essere ritenuti i soli responsabili delle anomalie magnetiche registrate. Molto più plausibile è invece lo scenario che vede la presenza di depositi di materiale di origine meteoritica, che presenta concentrazioni di leghe ferro-nichel molto più elevate.

Un’ipotesi che secondo gli scienziati trova la sua conferma nello studio della faccia nascosta del nostro satellite. Lì infatti si trova Aitken, un gigantesco bacino da impatto del diametro di circa 2500 chilometri, sul cui bordo settentrionale è concentrata la maggior parte delle anomalie magnetiche lunari. Anomalie che potrebbero essere prodotte dai resti del gigantesco meteorite il cui impatto ha prodotto la sterminata depressione. Secondo le ricostruzioni al calcolatore realizzate dal team, questo proiettile cosmico doveva avere un diametro di circa 200 chilometri e deve essersi avvicinato da sud. L’enorme nuvola di detriti prodotta dalla disgregazione dell’asteroide sarebbe poi ricaduta principalmente sul bordo settentrionale del bacino, dove appunto si concentrano le anomalie magnetiche osservate.

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Scossa di terremoto a Latina. Ore 9.17. Magnitudo 2.1

www.ingv.it
E' stata registrata poco fa, ore 9.17, una scossa sismica a Latina.

L'evento è stato rilevato dalla Rete Sismica Nazionale dell'Ingv nel distretto sismico della Pianura Pontina.

Il sisma, di magnitudo 2.1, è stato localizzato alle seguenti coordinate 41.5°N - 12.94°E, ad una profondità di 6.8 km.

Link evento: www.ingv.it

Link correlato: Lieve scossa sul confine col Friuli Venezia Giulia. Ore 0.58. Magnitudo 1.9.

Luci notturne dallo spazio. Seconda parte.

Ecco la seconda carrellata di immagini notturne del nostro pianeta viste dallo spazio. Fonte delle foto: Nasa.

Nord Ovest dell' Europa

Sud Italia

Milano

Montreal - Canada

A Nord della Cina

Link prima parte: Il blog di Canc

E non finisce qua. A breve la prossima puntata ...