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Pianeta in fuga nello spazio interstellare. Crediti: David A. Aguilar (CfA) |
Li chiamano pianeti iperveloci, e vengono sparati da un buco nero a
velocità superiori ai 10mila km al secondo. Per ora stanno solo in una
simulazione, ma un team di astronomi del CfA sostiene che esistono
davvero. E che saremmo pure in grado di vederli.
Di Marco Malaspina
Un autovelox galattico farebbe strage di punti. Poco meno di 50
milioni di chilometri all’ora: a tanto possono arrivare i pianeti
iperveloci. Velocità che siamo soliti associare a infinitesimali
particelle sparate lungo il tunnel d’un acceleratore. Qui, invece, altro che impalpabili neutrini: a sfrecciare sarebbero interi mondi,
eventuali abitanti compresi. Mondi in fuga, scampati alle grinfie d’un
buco nero e capaci di lasciarsi alle spalle persino la Via Lattea.
È la conclusione alla quale sono giunti Idan Ginsburg, Avi Loeb e
Gary Wegner, astrofisici teorici del Dartmouth College e della Harvard
University. Non solo: stando ai risultati delle loro simulazioni, già
sottomessi per la pubblicazione a Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, con gli strumenti giusti e un pizzico di fortuna potremmo pure vederne qualcuno,
di questi pianeti. Per rimanere gravitazionalmente appresso alla loro
stella madre, infatti, devono girarle attorno in un’orbita strettissima.
Aumentando così fino a una su due le probabilità di osservarne il
transito.
«Che io sappia, a parte le particelle subatomiche, non c’è niente che
riesca ad abbandonare la nostra galassia più in fretta di quanto
facciano questi pianeti in fuga», dice il primo autore dello studio, Idan Ginsburg, del Dartmouth College. «Viverci sopra», aggiunge Avi Loeb
dello Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, «è come farsi una
cavalcata a briglie sciolte che parte dal centro della galassia per poi
perdersi nell’universo».
Ma cos’è che li può scagliare attraverso il cosmo a velocità così
pazzesche? Per capirlo, occorre fare un passo indietro, e tornare a
circa sette anni fa, quando gli astronomi rimasero di stucco innanzi
alla scoperta della prima stella iperveloce,
in fuga dalla Via Lattea a quasi due milioni e mezzo di chilometri
orari. Stelle del genere, si è poi compreso, sono le sopravvissute d’un sistema binario incappato in un buco nero.
Se una delle due soltanto finisce risucchiata dal campo gravitazionale
del mostro, l’altra, la più fortunata, strappata dall’abbraccio con la
compagna, viene letteralmente fiondata via.
Ora, supponiamo che entrambe abbiano un pianeta o due che orbitavano
loro attorno. Che fine farebbero? È esattamente questa la circostanza
simulata dai tre astrofisici. Ciò che è emerso è che la stella
sopravvissuta potrebbe riuscire a dare uno strappo anche ai suoi
pianeti, portandoseli appresso nella sua fuga verso la salvezza. Ma
anche il pianeta agganciato all’altra stella, quella condannata a
finire nel buco nero, potrebbe riuscire a divincolarsi dall’abbraccio
mortale. Se ciò accadesse, la velocità alla quale verrebbe
sparato nel buio gelido dello spazio interstellare sarebbe semplicemente
folle. Tipicamente, dai 10 ai 16 milioni di chilometri all’ora, dice la
simulazione. E in condizioni particolarmente “favorevoli” anche a
velocità superiori: fino, appunto, ai 50 milioni di chilometri all’ora
che dicevamo. Roba che a stargli dietro verrebbe il fiatone pure
all’Enterprise di Star Trek.
- Leggi la press release dello Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics
- Leggi su arXiv l’articolo “Hypervelocity Planets and Transits Around Hypervelocity“, di Idan Ginsburg, Avi Loeb, e Gary Wegner